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MEDMA

afrodite.jpg (12592 byte)Fondata da Locri Epizefiri, Medma, secondo il racconto di Ereteo da Mileto, deve il suo nome a una ninfa delle acque, mentre un'altra tradizione vuole che il nome derivi da una sorgente ancora oggi presente sul territorio intorno a Rosarno.
Le fonti antiche ricordano una guerra combattuta dalla città e da Hipponion contro la madrepatria Locri e narrano della lunga decadenza della città, segnata dalla deportazione di quattromila dei suoi abitanti, nel 396 a. C., ad opera di Dionigi di Siracusa: già in età romana di Medma non resterà che il nome.
A partire dal XIX iniziò nella zona una ricerca (o meglio una spogliazione) di pezzi antichi che portò alla dispersione di molto materiale archeologico di Medma.
I manufatti provenienti dalla città sono contraddistinti dall'uso di una particolare terracotta con componente sabbiosa bianca e uniforme: spiccano per bellezza di fattura le teste femminili, molte delle quali è possibile oggi ammirare nelle sale del Museo Nazionale di Reggio Calabria, altri pregevoli esemplari sono custoditi nei maggiori musei del mondo.
Il territorio dell'antica Medma coincide con quello dell'attuale Piana di Rosarno percorsa dal fiume Mesima, importante asse fluviale del versante tirrenico calabrese. La fondazione della città fu motivata dal bisogno che aveva Locri di possedere un porto, irrealizzabile in quella parte di costa jonica dove la città sorgeva. Sul fiume Mesima doveva esistere un porto fluviale, ma le fonti antiche parlano anche di un Emporion la cui localizzazione è da ricercarsi nella Marina di Nicotera, dove un uso portuale della costa è documentato fino in età federiciana.
Gli ultimi anni hanno visto lo svolgersi di molte attività archeologiche in territorio di Rosarno: in particolare in località Pian delle Vigne sono state riportate alla luce delle antiche strutture databili dal VI secolo al IV secolo a.C. e una strada lastricata che sembrerebbe essere uno degli assi viari della città.manico.jpg (12061 byte)
Alcune necropoli hanno restituito inoltre del pregevole vasellame attico a figure nere che, insieme ad altro materiale proveniente dagli scavi, può essere ammirato nel Museo Civico di Nicotera. Simmetricamente disposta rispetto a Medma, sorgeva Metauros, città situata sulla riva destra del fiume Metauros (l'odierno Petrace) che ha restituito vaste necropoli a incinerazione.
Metauros, considerata colonia dei Calcidesi di Zancle (Messina), segnò per lungo tempo la zona di confine fra l'influenza politica di Rhegion e quella di Locri.
Questo itinerario si snoda fra le città di Hipponion, Medma e Metauros, seguendo lo sviluppo costiero del massiccio del monte Poro che è geograficamente inserito tra i golfi di Sant'Eufeumia e Gioia, delimitato ai margini dalle pianure alluvionali formate dall'Amato e dal Mesima.
Costituito da una compatta massa granitica, il promontorio è caratterizzato dalla presenza di cime rotondeggianti (pori) sicché è possibile parlare di Poro di Nicotera, Poro di Mileto, Poro di Spilinga.
Di notevole bellezza è il terrazzamento costiero della zona di Tropea, mentre ad oriente, una serie di piani terrazzati congiungono il promontorio del Poro alle montagne delle Serre.
testa.jpg (10396 byte)Dopo aver visitato Hipponion, non trascurando di affacciarsi sulla terrazza panoramica del castello normanno di Vibo Valentia, da cui è possibile allargare lo sguardo sia verso l'entroterra che verso il mare, si può iniziare il percorso costiero (S.S. 522) che, toccando Tropea, Capo Vaticano e Nicotera, porterà a Rosarno, luogo dell'antica Medma e a Metauros, l'odierna Gioia Tauro.
Tutta l'area del Poro, da Torre Galli a Tropea a Nicotera, ha restituito notevoli testimonianze archeologiche oggi visibili nelle sale del Museo Vito Capialbi di Vibo Valentia.
Il promontorio del Poro si presenta come una zona di grande bellezza per le suggestive scogliere che scendono a picco sul mare incastonando preziose spiagge.
Per gli amanti della montagna il territorio di Vibo Valentia offre la possibilità di raggiungere, percorrendo la S.S. 182 in direzione Serra S. Bruno incontaminati boschi di lecci, conifere e faggi, piccole oasi di pace, segnate dalla presenza dell'antico monastero di Santo Stefano del Bosco.